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  • lazzari64

L'UOVO DEL MONDO
















Giuliano ebbe la rara fortuna d’un temperamento così adesivo e vorace da riscaldare e improntare di sé ogni dato della cultura e dell’esperienza, nulla restava in lui grave e passivo, il pensiero diventava ardore di sentimento, e il sentimento doveva estrinsecarsi in un atto. Con tale ricchezza di sensibilità e d’immaginazione apprendeva i Filosofi e i Poeti dell’epoca d’oro con l’animo di chi aveva creato quelle opere; scopriva nella sua vita la presenza degli Dèi, questa proiezione di stati eccezionali di coscienza, con la recettività d’un primitivo e insieme con un senso d’introspezione attentissimo; i precetti della sapienza classica erano non solo le norme, ma le forme ovvie inscindibili del vivere; il mondo terrestre e il mondo astrale il campo indispensabile su cui si esercita il pensiero, la scala e lo strumento per la conquista analogica della verità superiore.

 

La capacità di adesione alla vita che lo fa legislatore, politico, amministratore, generale, uomo immerso nelle apparenze quotidiane e transitorie dell’esistenza, non impedisce anzi sembra esaltare in lui l’intimità spirituale, ciò che è il patrimonio dei mistici d’ogni tempo, il bisogno di partecipazione alla realtà trascendente, il senso d’esilio e di caduta nell’esistenza terrestre, l’aspirazione alla morte come elevazione divina. Questa complessità e suscettività di temperamento, la facoltà assimilatrice di fronte alla tradizione ellenica ci aiutano a intendere la così detta apostasia di Giuliano, che non fu l’abbandono d’un mondo sinceramente penetrato in lui, ma il riallacciamento ad una religiosità ritenuta più rispondente alla ragione e insieme alle tendenze mistiche della sua anima. La strage che privò Giuliano della famiglia nel 337, tragedia compresa con orrore nell’adolescenza, l’identificazione dei complici coi fautori imperiali della nuova religione, l’odio per gli strumenti della sua educazione nella solitudine di Macello, il travaglio stesso della Chiesa lottante tra le varie sette ereticali non potevano che screditare la fede dell’infanzia e favorire in lui il ritorno all’antico.




 

Il paganesimo rinnovato dalla Filosofia, ancora vivace e pronto alle riscosse, doveva risplendere ancora a lui in un’armonia di forme e di spiriti, di cultura e di sentimento, di tradizione e di realtà. Nella complessità e reciproca azione delle religioni, non era anacronistico e scandaloso come può sembrare a noi giudicanti dagli effetti lontani, il suo ritorno agli Dèi, alle tradizioni della famiglia e dello stato, interrotte appena nel governo di Costantino e di Costanzo. I mezzi intellettuali li offriva la cultura filosofica del tempo, il neoplatonismo nel suo sforzo di conciliare le scuole antiche, il sincretismo delle tradizioni religiose e teosofiche, la reinterpretazione e il rafforzamento del patrimonio mitico e rituale del passato in un duplice tentativo, di riduzione a termini logici e insieme di ravvivamento sentimentale e mistico.

 

La formazione di Giuliano era avvenuta negli anni della dimora a Nicomedia sotto l’influsso dei retori e dei Filosofi neoplatonici Edesio, Prisco, Crisanzio e sopra tutti di Massimo d’Efeso, che doveva essergli al fianco dall’assunzione al trono fino alla morte. Questi Filosofi sconfinando dall’intellettualismo greco, accettando elementi residui delle concezioni popolari egiziane, s’erano fatti iniziatori e teurgi; il fascino del mistero e la dottrina li offriva loro in special modo l’occultismo caldeo, fondato sulla religione solare astrale di Helios re  già abbinato al culto di Cibele.

 

Di due autori Giuliano si dichiara follemente invaghito, di Giamblico nella Filosofia e dell’omonimo nella teosofia, cioè di Giuliano, il teurgo caldeo vissuto negli anni di Marc’Aurelio. Sull’opera di questo divisa in sette zone conformi ai sette pianeti Giamblico aveva scritto un commentario, che è la fonte precipua del quarto e quinto discorso di Giuliano imperatore.




 

Giamblico si muove con piena sicurezza nella gerarchia demonica, che congiunge il sopramondo divino col mondo terrestre, nella materia e nella parola vede ricettacoli di energie superiori atti a rendere presente e attiva la divinità, considera la preghiera come una ispirazione non come una richiesta di benefici. Nel complesso delle dottrine e delle esperienze della teosofia di Giamblico Giuliano fu morbosamente attratto.

 

Concezioni fondamentali, come la possibilità della disgregazione dell’unità psichica per ottenere stati di coscienza super-normali, l’identità dell’Io e del principio solare, la conoscenza di Sé come guida alla conoscenza del tutto, l’uso e l’interpretazione di simboli e di miti Giuliano ha in comune con la tradizione ermetica*.

 

* In un recente libro Jackson Knight espone i risultati di interessanti ricerche che hanno come punto di partenza il passo del sesto libro dell’Eneide in cui sono descritte le porte dell’antro della Sibilla cumana: perché il labirinto di Creta e la sua storia sono raffigurati su queste porte?

 

                  

[Gli antichi consacravano davvero opportunamente antri e caverne al cosmo, considerato nella sua totalità o nelle sue parti, poiché facevano della Terra il simbolo della materia di cui il cosmo è costituito (per questo motivo alcuni identificavano terra e materia) e d’altra parte gli antri rappresentavano per loro il cosmo che si forma dalla materia: essi, infatti, per la maggior parte sono di formazione spontanea e connaturali alla Terra, circondati da un blocco uniforme di roccia, che internamente è cava e all’esterno si perde nella infinita illimitatezza della terra.

 

Il cosmo d’altra parte è di formazione spontanea ed è connaturale alla materia, che gli antichi designavano enigmaticamente pietra e roccia per il fatto che appare inerte e ostile alla forma, e la consideravano infinita per il suo essere amorfa.




 

Poiché la materia è fluida, priva in sé della forma che la modella e le conferisce apparenza, gli antichi, come simboli delle qualità insite nel cosmo in virtù di essa, accolsero l’acqua che sgorga e trasuda dagli antri, la tenebrosità e, come dice il poeta, l’oscurità.

 

A causa della materia, quindi, il cosmo è oscuro e tenebroso, ma è bello e amabile per l’intrecciarsi delle forme che lo adornano, per le quali è chiamato cosmo. Pertanto è giusto dire che l’antro è amabile non appena vi si entra per il fatto che esso partecipa della forma ma, per chi esamina le sue profondità e le penetra con l’intelletto, è oscuro; quindi, ciò che è all’esterno e in superficie è amabile, ciò che è all’interno e in profondità è oscuro.

 

Così anche i Persiani danno il nome di antro al luogo in cui durante i riti introducono l’iniziato al mistero della discesa delle anime sulla terra e della loro risalita da qui.

 

Eubulo testimonia che fu Zoroastro il primo a consacrare a Mitra, padre e artefice di tutte le cose, un antro naturale situato nei vicini monti della Persia, ricco di fiori e fonti: l’antro per lui recava l’immagine del cosmo di cui Mitra è demiurgo, e le cose situate nell’antro a intervalli calcolati erano simboli degli elementi cosmici e delle regioni del cielo.

 

Dopo Zoroastro prevalse anche presso gli altri l’uso di celebrare riti iniziatici in antri e caverne, sia naturali sia costruiti artificialmente.

 

Come infatti consacrarono in onore degli Dèi olimpi e templi, edifici e altari, per gli Dèi ctonii e gli eroi are, per le divinità sotterranee buche e cavità, così consacrarono anche antri e caverne al cosmo e alle Ninfe, in virtù delle acque che stillano o sgorgano dagli antri, alle quali presiedono le ninfe Naiadi, come mostreremo tra poco.




 

Consideravano l’antro simbolo non solo, come si è detto, del cosmo, cioè del generato e del sensibile, ma l’oscurità degli antri li indusse a vedervi il simbolo anche di tutte le potenze invisibili, la cui essenza appunto non è percepibile allo sguardo. Così Crono si prepara un antro nell’Oceano e lì nasconde i suoi figli, anche Demetra alleva Kore in un antro tra le Ninfe e passando in rassegna le opere dei teologi si troverebbero senz’altro molti altri esempi analoghi. Consacravano antri alle Ninfe, soprattutto alle Naiadi, che presiedono il nome Naiadi dalle acque da cui sgorgano le correnti: lo dimostra anche l’inno ad Apollo, in cui si dice:

 

A te fonti di acque intellettuali

assegnarono quelle che vivono

negli antri della terra,

nutrite dal soffio della Musa

a un canto divino;

esse facendole sgorgare sul suolo

per ogni rivo

offrono ai mortali di dolci acque

flussi inesauribili.

 

Di qui, penso, presero spunto anche i pitagorici e dopo di loro, Platone quando chiamarono il cosmo antro e caverna. In Empedocle, infatti, le potenze che guidano l’anima dicono:

 

Siamo giunte in questo coperto

 

e in Platone nel settimo libro della Repubblica si dice:

 

Ecco, immagina che vi siano uomini in una dimora a forma di  caverna sotterranea, aperta verso l’alto alla luce, e che ha una via di accesso la quale si snoda lungo tutta l’ampiezza della caverna.

 

E quando l’interlocutore esclama:

 

Che strana immagine la tua!

 

Egli aggiunge:

 

Ora, caro Glaucone, bisogna adattare questa immagine a tutto il nostro discorso precedente e paragonare il mondo delle apparenze visibili alla dimora della prigione, e la luce del fuoco alla potenza del sole.




 

Questo dimostra dunque che i teologi ponevano negli antri il simbolo del cosmo e delle potenze cosmiche, e anche, come si è detto, della essenza intellegibile, ma partendo da considerazioni diverse: simbolo del mondo sensibile perché gli antri sono tenebrosi, rocciosi e umidi, e tale consideravano il cosmo resistente e fluido per la materia di cui è costituito.

 

D’altra parte, l’antro era simbolo del mondo intellegibile perché esso è di essenza invisibile alla percezione, salda e stabile.

 

Così è simbolo anche delle potenze particolari invisibili e soprattutto di quelle insite nella materia. Gli antri, infatti, ne erano considerati simboli particolari per la loro formazione spontanea, e per l’aspetto oscuro, tenebroso e roccioso, e certo non sotto tutti i punti di vista né, come alcuni immaginarono per la loro forma, poiché ogni antro è sferico.

 

Se l’antro è a due entrate, come quello di Omero che ha due porte, non lo consideravano simbolo della essenza intellegibile, bensì di quella sensibile, così l’antro di cui ora si tratta, per il fatto che, come dice Omero, vi ‘scorrono acque perenni’, non potrebbe essere simbolo della essenza intellegibile, ma di quella legata alla materia.

 

E perciò è sacro non alle Ninfe dei monti, delle vette o altre simili, ma alle Ninfe Naiadi che prendono il loro nome dalle acque correnti. Con Ninfe Naiadi indichiamo in senso specifico le potenze che presiedono alle acque, ma i teologi designavano tutte le anime in generale che discendono nella generazione.

 

Essi, infatti, ritenevano che tutte le anime si posassero sull’acqua che, come dice Numenio, è divinamente ispirata; egli afferma che proprio per questo motivo anche il profeta disse:

 

Il soffio divino si muoveva sull’acqua.

 

Di qui il detto di Eraclito:

 

Per le anime è piacere, non morte,

divenire umide.

Noi viviamo la morte di quelle,

e quelle vivono la nostra morte.

 

(Porfirio) ]





 Andando contro a quanto hanno sostenuto taluni che non vanno oltre le concezioni ‘letterarie moderne’, egli rifiuta giustamente di vedervi una semplice digressione più o meno inutile, ritenendo al contrario che questo passo debba avere un reale valore simbolico, fondato su una stretta relazione fra il labirinto e la caverna, collegati entrambi alla stessa idea di un viaggio sotterraneo. Secondo l’interpretazione che Jackson Knight fornisce di fatti concordanti che appartengono a epoche e regioni assai diverse, questa idea sarebbe stata legata in origine ai riti funerari, e poi, in virtù di una certa analogia, trasferita nei riti iniziatici; torneremo più in particolare su questo punto fra poco, ma dobbiamo anzitutto fare qualche riserva sul modo stesso in cui egli concepisce l’iniziazione.

 

Sembra infatti considerarla unicamente come un prodotto del ‘pensiero umano’, dotato comunque di una vitalità che gli assicura una sorta di permanenza attraverso le epoche, anche se talora esso sussiste per così dire solo allo stato latente; dopo quanto abbiamo già esposto su questo argomento, non abbiamo assolutamente bisogno di mostrare di nuovo tutto quello che c’è di insufficiente in una simile concezione, per il fatto stesso che non vi si tiene conto degli elementi ‘sopra-umani’ che in realtà ne costituiscono esattamente l’essenziale.

 

Insisteremo soltanto su questo punto: l’Idea di una sussistenza allo stato latente porta all’ipotesi di una conservazione in un ‘subconscio collettivo’ desunto da certe teorie psicologiche recenti; qualunque cosa si pensi di queste ultime, nell’applicazione che così se ne fa c’è un completo disconoscimento della necessità di una ‘catena iniziatica’, cioè di una trasmissione effettiva e ininterrotta.




 

È vero che c’è un’altra questione da non confondere assolutamente con la precedente: è successo talvolta che cose di ordine propriamente iniziatico abbiano trovato espressione tramite individualità per nulla coscienti del loro vero significato, e ci siamo precedentemente spiegati su questo punto parlando della leggenda del Graal; ma, da una parte, tutto ciò non c’entra affatto con quel che concerne l’iniziazione stessa nella sua realtà, e, dall’altra, non è questo il caso di Virgilio, in cui vi sono, esattamente come in Dante, indicazioni decisamente troppo precise e troppo manifestamente coscienti perché sia possibile ammettere che egli sia stato estraneo a ogni collegamento iniziatico effettivo.

 

Quello di cui parliamo non ha niente a che vedere con l’ ‘ispirazione poetica’ come s’intende oggi, e, a tale proposito, Jackson Knight è certo troppo disposto a condividere le posizioni ‘letterarie’, alle quali comunque la sua tesi si oppone per altri versi; dobbiamo nondimeno riconoscere quanto sia meritorio, per uno scrittore universitario, avere il coraggio di affrontare un simile argomento, o anche semplicemente parlare di iniziazione.

 

Detto questo, torniamo al problema dei rapporti fra caverna funeraria e caverna iniziatica: per quanto tali rapporti siano sicuramente reali, l’identificazione dell’una e dell’altra, in quanto al loro simbolismo, rappresenta al massimo la metà della verità. Osserviamo d’altronde che, anche dal solo punto di vista funerario, l’idea di far derivare il simbolismo dal rituale, invece di vedere al contrario nel rituale quel simbolismo in azione che esso è veramente, mette già l’autore in grande imbarazzo allorché egli constata che il viaggio sotterraneo è quasi sempre seguito da un viaggio all’aria aperta, che molte tradizioni rappresentano come una navigazione; ciò sarebbe infatti inconcepibile se si trattasse soltanto della descrizione immaginosa di un rituale di sepoltura, ma si spiega invece perfettamente quando si sa che si tratta in realtà di diverse fasi attraversate dall’essere nel corso di una migrazione veramente “d’oltretomba”, che non concerne per nulla il corpo che egli ha lasciato dietro di sé abbandonando la vita terrestre.




 

D’altra parte, in virtù dell’analogia esistente fra la morte intesa nel senso comune della parola e la morte iniziatica di cui abbiamo parlato in altra occasione, una medesima descrizione simbolica può essere applicata a quel che accade all’essere in entrambi i casi; per quanto riguarda la caverna e il viaggio sotterraneo, questa è la ragione dell’assimilazione proposta, nella misura in cui essa è giustificata; ma al punto in cui essa deve legittimamente fermarsi, si è ancora soltanto ai preliminari dell’iniziazione, e non all’iniziazione stessa.

 

Infatti, non si può vedere a rigore null’altro che una preparazione all’iniziazione nella morte al mondo profano, seguita dalla ‘discesa agli Inferi’ che è, beninteso, la stessa cosa del viaggio nel mondo sotterraneo cui la caverna dà accesso; e, per quanto riguarda l’iniziazione stessa, lungi dall’essere considerata una morte, essa è al contrario considerata una ‘seconda nascita’, come pure un passaggio dalle tenebre alla luce.

 

Ora, il luogo di questa nascita è ancora la caverna, almeno nel caso in cui in essa si compia l’iniziazione, di fatto o simbolicamente, poiché è ovvio che non bisogna generalizzare troppo e che, come per il labirinto di cui parleremo in seguito, non si tratta di qualcosa di necessariamente comune a tutte le forme iniziatiche senza eccezioni. Lo stesso appare del resto, anche exotericamente, nel simbolismo cristiano della Natività, altrettanto chiaramente quanto in altre tradizioni; ed è evidente che la caverna come luogo di nascita non può avere esattamente lo stesso significato della caverna come luogo di morte o di sepoltura.




 

Si potrebbe comunque far notare, almeno per collegare fra di loro questi due aspetti diversi e apparentemente opposti, che morte e nascita non sono in fondo che le due facce di uno stesso cambiamento di stato, e che si ritiene che il passaggio da uno stato a un altro si debba sempre effettuare nell’oscurità [Si potrebbe ricordare anche, in questo senso, il simbolismo del chicco di grano nei misteri eleusini]; in tal senso, la caverna sarebbe dunque, più esattamente, il luogo stesso del passaggio: ma questo, pur essendo rigorosamente vero, si riferisce ancora solo a uno dei lati del suo complesso simbolismo.

 

Se l’autore non è riuscito a scorgere l’altro lato di tale simbolismo, ciò è dovuto probabilmente all’influsso esercitato su di lui dalle teorie di certi ‘storici delle religioni’: seguendo questi ultimi, egli ammette infatti che la caverna debba essere sempre ricollegata a culti ‘ctonii’, senza dubbio per la ragione, un po’ troppo ‘semplicistica’, che essa è situata all’interno della terra; ma questo è assai lontano dalla verità [Questa interpretazione unilaterale lo porta a un singolare equivoco: tra gli altri esempi egli cita il mito scintoista della danza eseguita dinanzi all’entrata di una caverna per farne uscire la ‘dea ancestrale’ che vi si era nascosta; sfortunatamente per la sua tesi, non si tratta in questo caso della ‘terra-madre’, come egli crede e dice anche esplicitamente, bensì della dea solare, il che è affatto diverso].

 

Eppure egli non può fare a meno di accorgersi che la caverna iniziatica è assunta anzitutto come un’immagine del mondo….

 

[….]




 

 Dopo tutte le considerazioni esposte precedentemente sui diversi aspetti del simbolismo della caverna, ci resta da trattare ancora un altro punto importante: i rapporti di questo stesso simbolo con quello dell’‘Uovo del Mondo’; ma, affinché ciò possa essere ben compreso e ricollegato in modo più diretto a quanto abbiamo detto fin qui, dobbiamo parlare anzitutto dei rapporti simbolici del cuore con l’ ‘Uovo del Mondo’. Si potrebbe forse stupirsene a prima vista e non scorgere altro che una certa somiglianza di forma tra il cuore e l’uovo; ma anche questa somiglianza può avere un vero significato solo se esistono relazioni più profonde; ora, il fatto che l’omphalos e il betilo, che sono incontestabilmente simboli del centro, siano spesso di forma ovoidale, com’era in particolare l’Omphalos di Delfi [Abbiamo esaminato più specificamente questi simboli nel “Roi du Monde”; vi abbiamo anche segnalato che, in altri casi, essi rivestono la forma conica, che è in rapporto diretto con il simbolo della montagna, di modo che si ritrovano qui ancora le due raffigurazioni complementari di cui abbiamo parlato ultimamente], ne è una riprova, come ci accingiamo ora a spiegare.

 

A tale riguardo, è importante prima di tutto osservare che l’ ‘Uovo del Mondo’ è la figura non del ‘cosmo’ nel suo stato di completa manifestazione, ma di ciò a partire da cui si effettuerà il suo sviluppo; e, se tale sviluppo è rappresentato come un’espansione che si compie in tutte le direzioni a partire dal suo punto d’inizio, è evidente che questo punto coinciderà necessariamente con il centro stesso; così, l’ ‘Uovo del Mondo’ è effettivamente ‘centrale’ in rapporto al ‘cosmo’ [Il simbolo del frutto ha anch’esso sotto questo profilo, lo stesso significato dell’uovo; vi torneremo probabilmente nel proseguimento di questi studi. Facciamo notare fin d’ora che questo simbolo ha inoltre un evidente legame con quello del ‘giardino’, e quindi del Paradiso terrestre].




 

La figura biblica del Paradiso terrestre, che è anche il ‘Centro del Mondo’, è quella di una cinta circolare, che può essere considerata la sezione orizzontale di una forma ovoidale oppure sferica; aggiungiamo che, in realtà, la differenza fra queste due forme consiste essenzialmente nel fatto che quella della sfera, estendendosi ugualmente in tutti i sensi a partire dal centro, è veramente la forma primordiale, mentre quella dell’uovo corrisponde a uno stato già differenziato, che deriva dal precedente per una specie di ‘polarizzazione’ o di sdoppiamento del centro [Allo stesso modo, in geometria piana, il centro unico del cerchio, sdoppiandosi, dà origine ai due fuochi di un’ellisse; questo sdoppiamento è raffigurato assai chiaramente anche nel simbolismo estremo-orientale dello Yin-yang, che si riallaccia anche a quello dell’ ‘Uovo del Mondo’].

 

Si può d’altronde pensare che questa ‘polarizzazione si effettui dal momento in cui la sfera compie un movimento di rotazione intorno a un asse determinato, poiché, a partire da questo momento, non tutte le direzioni dello spazio svolgono uniformemente la stessa funzione; e questo segna precisamente il passaggio dall'una all’altra delle due fasi successive del processo cosmogonico che sono rispettivamente simboleggiate dalla sfera e dall’uovo [Segnaliamo ancora, a proposito della forma sferica, che nella tradizione islamica la sfera di pura luce primordiale è il “Ruh mohammediyah”, che è anche il ‘Cuore del Mondo’; e l’intero ‘cosmo’ è vivificato dalle ‘pulsazioni’ di questa sfera, che è propriamente il “barzakh” per eccellenza (si veda su questo argomento l'articolo di T. Burckhardt, in ‘Etudes Traditionnelles’, dicembre 1937)].




 

Detto questo, resta ormai solo da mostrare come ciò che è contenuto nell’ ‘Uovo del Mondo’ sia realmente identico a ciò che, come abbiamo detto precedentemente, è anche contenuto simbolicamente nel cuore, e nella caverna in quanto ne è l’equivalente. Si tratta qui di quel ‘germe’ spirituale che, nell’ordine macrocosmico, è designato dalla tradizione indù come Hiranyagarbha, cioè letteralmente l’ ‘embrione d’oro’ [Si veda “L’Homme et son devenir selon le Vedanta”, cap. XIII]; ora, questo ‘germe’ è veramente l’Avatara primordiale [A ciò si ricollega pure la designazione di Cristo come ‘germoglio’ in vari testi delle Scritture, di cui forse riparleremo in altra occasione], e abbiamo visto che il luogo della nascita dell’Avatara, come pure di ciò che vi corrisponde dal punto di vista microcosmico, è rappresentato precisamente dal cuore o dalla caverna.

 

Si potrebbe obiettare che, nel testo da noi citato allora [Katha Upanishad, 1° Valli, shruti], come del resto in molti altri casi, l’Avatara è espressamente designato come Agni, mentre è detto che Brahma si rinchiude nell’ ‘Uovo del Mondo’, chiamato per questa ragione Brahmanda, per nascervi come Hiranyagarbha; ma, oltre al fatto che i diversi nomi designano in realtà solo i diversi attributi divini, che sono per forza sempre in relazione gli uni con gli altri, e non entità separate, è il caso di osservare qui in modo speciale che, essendo l’oro considerato come la ‘luce minerale’ e il ‘sole dei metalli’, la designazione stessa di Hiranyagarbha lo caratterizza effettivamente come un principio di natura ignea; e tale ragione viene ad aggiungersi alla sua posizione centrale per farlo assimilare simbolicamente al Sole, che, del resto, è anch’esso in tutte le tradizioni una delle figure del ‘Cuore del Mondo’.




 

Per passare di qui all’applicazione microcosmica, basta ricordare l’analogia che esiste fra il “pinda”, embrione sottile dell’essere individuale, e il Brahmanda o ‘Uovo del Mondo’ [“Yatha pinda tatha Brahmanda” (si veda “L'Homme et son devenir selon le Vedanta”, capp. xiii e xix)]; e questo “pinda”, in quanto ‘germe’ permanente e indistruttibile dell’essere, si identifica d’altronde col ‘nocciolo d’immortalità’, chiamato “luz” nella tradizione ebraica [Per ulteriori osservazioni su questo punto rinviamo ancora al “Roi du Monde”; si può anche notare che l’assimilazione della ‘seconda nascita’ a una ‘germinazione’ del “luz” richiama nettamente la descrizione taoista del processo iniziatico come ‘endogenia dell’immortale’].

 

È vero che, in genere, il “luz” non viene situato nel cuore, o almeno è questa solo una delle diverse localizzazioni di cui è suscettibile, nella sua corrispondenza con l’organismo corporeo, e non quella che si riferisce al caso più comune; nel caso, invece, in cui il “luz” è in rapporto immediato con la ‘seconda nascita’, tale localizzazione apparirà del tutto giusta, come già risulta da tutto quanto si è detto finora.

 

Di fatto, tali localizzazioni, che sono in rapporto con la dottrina indù dei chakra, si riferiscono ad altrettante condizioni dell’essere umano o fasi del suo sviluppo spirituale: alla base della colonna vertebrale, è lo stato di ‘sonno’ in cui si trova il “luz” nell’uomo comune [Il serpente arrotolato intorno all’ ‘Uovo del Mondo’, e talvolta raffigurato attorno all’Omphalos e al betilo, è, a tale riguardo, Kundalini arrotolata intorno al ‘nocciolo d’immortalità’, che è pure in rapporto con il simbolismo della ‘pietra nera’; a questa posizione ‘inferiore’ del “luz”, si fa direttamente allusione nella formula ermetica: “Visita inferiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem”, la ‘rettificazione’ è qui il ‘raddrizzamento’ che segna, dopo la ‘discesa l’inizio di un movimento ascensionale, corrispondente al risveglio di Kundalini; e il complemento della medesima formula designa inoltre questa ‘pietra nascosta’ come “veram medicinam”, il che la identifica anche con l’amrita, cibo o bevanda d’immortalità].




 

Nel cuore, è la fase iniziale della sua ‘germinazione’, che è propriamente la ‘seconda nascita’; nell’occhio frontale, è la perfezione dello stato umano, cioè la reintegrazione nello ‘stato primordiale’; infine, nella corona della testa, è il passaggio agli stati sopra-individuali; e ritroveremo ancora la corrispondenza esatta di queste diverse tappe quando torneremo a trattare del simbolismo della caverna iniziatica [Notiamo ancora che la designazione dell’embrione d’oro suggerisce un certo rapporto con il simbolismo alchimistico, confermato del resto da accostamenti come quelli che abbiamo indicato nella nota precedente; e vedremo anche, a tale riguardo, che la caverna iniziatica corrisponde in modo notevole all’athanor ermetico; non è il caso di stupirsi di queste somiglianze, poiché il processo della ‘Grande Opera’, inteso nel suo vero senso, non è altro in fondo che il processo stesso dell’iniziazione].

 

La caverna iniziatica, abbiamo detto in precedenza, è considerata un’immagine del mondo; ma, d’altra parte, in virtù della sua assimilazione simbolica al cuore, essa ne rappresenta più particolarmente il luogo centrale. Questi possono sembrare due punti di vista differenti, ma, in realtà, non vi è nessuna contraddizione, e quel che abbiamo detto a proposito dell’ ‘Uovo del Mondo’ basta a conciliarli, e persino a identificarli in un certo senso: infatti, l’ ‘Uovo del Mondo’ è centrale in rapporto al cosmo, e, nello stesso tempo, contiene in germe tutto ciò che quest’ultimo conterrà allo stato pienamente manifestato; tutte le cose si trovano quindi nell’ ‘Uovo del Mondo’, ma in uno stato di avviluppamento, raffigurato precisamente, come abbiamo spiegato, anche dalla posizione stessa della caverna, per via del suo carattere di luogo nascosto e chiuso. Le due metà in cui si divide l’ ‘Uovo del Mondo’, secondo uno degli aspetti più comuni del suo simbolismo, diventano rispettivamente il cielo e la terra; anche nella caverna il suolo corrisponde alla terra e la volta al cielo; non c’è quindi nulla in tutto questo che non sia perfettamente coerente e normale.




 

Ora, resta ancora da esaminare un’altra questione particolarmente importante dal punto di vista iniziatico: abbiamo parlato della caverna come luogo della ‘seconda nascita’; ma c’è una distinzione essenziale da fare tra questa ‘seconda nascita’ e la ‘terza nascita’, distinzione che corrisponde in definitiva a quella tra l’iniziazione ai ‘piccoli misteri’ e l’iniziazione ai ‘grandi misteri’; se la ‘terza nascita’ è anch’essa rappresentata dentro la caverna, come vi si adatterà il simbolismo di quest’ultima?

 

La ‘seconda nascita’, cioè propriamente quella che si può chiamare la ‘rigenerazione psichica’, si opera nel campo delle possibilità sottili dell’individualità umana; la ‘terza nascita’, invece, effettuandosi direttamente nell’ordine spirituale e non più psichico, è l’accesso alla sfera delle possibilità sopra-individuali. L’una è quindi propriamente una ‘nascita nel cosmo’ (alla quale, come abbiamo detto, corrisponde nell’ordine macrocosmico la nascita dell’Avatara), e, di conseguenza, è logico che nelle raffigurazioni essa abbia interamente luogo all’interno della caverna; ma l’altra è una ‘nascita fuori del cosmo’, e a questa ‘uscita dal cosmo’, secondo l’espressione di Ermete, deve corrispondere, affinché il simbolismo sia completo, un’uscita finale dalla caverna, dal momento che questa contiene soltanto le possibilità incluse nel ‘cosmo’, possibilità che l’iniziato deve precisamente superare in questa seconda fase dello sviluppo del suo essere, di cui la ‘seconda nascita’ era in realtà solo il punto di partenza.

 

Qui, certi rapporti si troveranno naturalmente modificati: la caverna ridiventa di nuovo un ‘sepolcro’, non più questa volta esclusivamente a causa della sua posizione ‘sotterranea’, ma per il fatto che l’intero ‘cosmo’ è in qualche modo il ‘sepolcro’ da cui l’essere deve ora uscire; la ‘terza nascita’ è necessariamente preceduta dalla ‘seconda morte’, che è, non più la morte al mondo profano, ma veramente la ‘morte al cosmo’ (e anche “nel cosmo”), e per questo la nascita ‘extra-cosmica’ è sempre assimilata a una ‘resurrezione’ [Si trova qualcosa di analogo anche nel simbolismo della crisalide e della sua trasformazione in farfalla]. Perché tale ‘resurrezione’, che è nello stesso tempo l’uscita dalla caverna, possa aver luogo, bisogna che la pietra che chiude l’apertura del ‘sepolcro’ (cioè della caverna stessa) sia tolta; vedremo in seguito come ciò si possa tradurre in certi casi nel simbolismo rituale.




 

D’altra parte, quando ciò che è fuori della caverna rappresentava solo il mondo profano o le tenebre ‘esterne’, la caverna appariva come l’unico luogo illuminato, e illuminato necessariamente dall’interno; nessuna luce poteva infatti venirle dall’esterno. Ora, siccome bisogna tener conto delle possibilità ‘extra-cosmiche’, la caverna, malgrado questa illuminazione, diviene relativamente oscura, in rapporto, non diremo a quel che si trova fuori di essa senza distinzione, ma più precisamente a quel che è sopra di essa, al di là della sua volta, poiché è proprio questo che rappresenta la sfera ‘extra-cosmica’.

 

Secondo questo nuovo punto di vista, si potrebbe allora considerare l’illuminazione interna soltanto come il riflesso di una luce che penetra attraverso il ‘tetto del mondo’, per la ‘porta solare’, la quale è l’ ‘occhio’ della volta cosmica o l’apertura superiore della caverna. Nell’ordine microcosmico, tale apertura corrisponde al Brahma-randhra, cioè al punto di contatto dell’individualità con il ‘settimo raggio’ del sole spirituale, punto la cui ‘localizzazione’, secondo le corrispondenze organiche, si trova nella corona della testa [Si veda “L'Homme et son devenir selon le Vedanta”, cap. xxi] e che è anche raffigurato dall’apertura superiore dell’athanor ermetico [Usando la terminologia alchimistica, la ‘terza nascita’ potrebbe essere considerata come una ‘sublimazione’].

 

Aggiungiamo, a questo proposito, che l’‘uovo filosofico’, che svolge manifestamente il ruolo dell’ ‘Uovo del Mondo’, è chiuso all’interno dell’athanor, ma che quest'ultimo può essere a sua volta assimilato al ‘cosmo’, nella duplice applicazione macrocosmica e microcosmica; la caverna potrà dunque anch’essa venir assimilata simbolicamente sia all’‘uovo filosofico’ che all’athanor, a seconda che ci si riferisca, se si vuole, a gradi di sviluppo diversi nel processo iniziatico, ma in ogni caso senza che il suo significato fondamentale ne risulti minimamente alterato.




 

Si può anche osservare che con questa illuminazione di riflesso si ritrova l’immagine della caverna di Platone, nella quale si vedono solo ombre, grazie a una luce che vien dal di fuori [Questa visione oscura è la visione “quasi per speculum in aenigmate” di cui parla san Paolo (Prima Epistola ai Corinti); quel che appare manifestato nel ‘cosmo’ è propriamente solo un’ombra o un ‘vestigio’ della realtà trascendente, ma è d’altronde quel che ne costituisce il valore come simbolo di tale realtà]; e tale luce è proprio ‘extra-cosmica’, poiché la sua fonte è il ‘Sole intelligibile’. La liberazione dei prigionieri e la loro uscita dalla caverna è una ‘venuta alla luce’, grazie alla quale essi possono contemplare direttamente la realtà di cui avevano percepito fino a quel momento un semplice riflesso; questa realtà, sono gli ‘archetipi’ eterni, le possibilità contenute nella ‘permanente attualità’ dell’essenza immutabile.

 

Infine, è importante notare che le due ‘nascite’ di cui abbiamo parlato, essendo due fasi successive dell’iniziazione completa, sono anche, per ciò stesso, due tappe su una stessa via, e che questa via è essenzialmente ‘assiale’, come assiale è pure, nel suo simbolismo, il ‘raggio solare’, al quale abbiamo alluso poc’anzi, e segna la ‘direzione’ spirituale che deve seguire l’essere, elevandosi costantemente, per giungere infine al suo vero centro [Cfr. “Eç-çiratul-mustaqim” nella tradizione islamica].

 

Nei limiti del microcosmo questa direzione ‘assiale’ è quella della sushumna, che si estende fino alla corona della testa, a partire dalla quale essa è prolungata ‘extra-individualmente’, si potrebbe dire, dal ‘raggio solare’ stesso, percorso risalendo verso la sorgente; è lungo la sushumna che si trovano i chakra che sono i centri sottili dell’individualità, ad alcuni dei quali corrispondono le varie posizioni del luz o ‘nocciolo d’immortalità’ da noi esaminate in precedenza, di modo che queste stesse posizioni, o il ‘risveglio’ successivo dei chakra corrispondenti, sono pure sempre assimilabili a tappe poste sulla medesima via ‘assiale’.

 

[….]




 

D’altra parte, l’‘Asse del Mondo’ è naturalmente identificato con la direzione verticale, che ben risponde all’idea di una via ascendente, e quindi l’apertura superiore, che, come abbiamo detto, corrisponde microcosmicamente alla corona della testa, dovrà normalmente, a tale riguardo, situarsi allo zenith della caverna, cioè al vertice stesso della volta. Tuttavia, la questione presenta di fatto alcune complicazioni dovute al possibile intervento di due modalità differenti del simbolismo, una ‘polare’ e l’altra ‘solare’; è perciò il caso, per quanto concerne l’uscita dalla caverna, di portare ulteriori precisazioni che forniranno al tempo stesso un esempio dei rapporti che possono esserci fra queste due modalità, il cui rispettivo predominio si riferisce originariamente a periodi ciclici diversi, ma che si sono in seguito associate e combinate in molteplici maniere.

 

In un certo senso si può dire che i ‘piccoli misteri’ corrispondono alla terra (stato umano) e i ‘grandi misteri’ al cielo (stati sopra-individuali); donde anche, in certi casi, una corrispondenza simbolica stabilita con le forme geometriche del quadrato e del cerchio (o derivate da queste), che la tradizione estremo-orientale, in particolare, riferisce rispettivamente alla terra e al cielo.

 

Esiste in realtà un’altra soluzione, che implica delle considerazioni in cui il simbolismo solare prende questa volta un posto preponderante, per quanto le tracce del simbolismo polare vi restino ancora abbastanza palesi; vi è insomma una specie di combinazione e quasi di fusione fra queste due modalità, come indicavamo alla fine dello studio precedente. Quel che si deve essenzialmente notare a tale riguardo è quanto segue: l’asse verticale, in quanto congiunge i due poli, è evidentemente un asse nord-sud; nel passaggio dal simbolismo polare al simbolismo solare, quest’asse dovrà essere in qualche modo proiettato sul piano zodiacale, ma in modo da conservare una certa corrispondenza, si potrebbe anche dire una equivalenza il più possibile esatta, con l’asse polare primitivo [Proprio a questo passaggio da un simbolismo all’altro si riferisce il ‘trasferimento’ di certe costellazioni dalla regione polare alla regione zodiacale, al quale abbiamo alluso altrove (si veda “Le Roi du Monde”, cap. x)].




 

Ora, nel ciclo annuale, i solstizi d’inverno e d’estate sono i due punti che corrispondono rispettivamente al nord e al sud nell’ordine spaziale, così come gli equinozi di primavera e d’autunno corrispondono all’oriente e all’occidente; l’asse che soddisferà la condizione desiderata è dunque quello che unisce i due punti solstiziali; e si può dire che l’asse solstiziale svolgerà allora il ruolo di un asse relativamente verticale, come esso è infatti in rapporto all’asse equinoziale [Non dobbiamo qui occuparci del fatto che tra le varie forme tradizionali ve ne siano alcune che danno all’anno un punto di partenza solstiziale, e altre un punto di partenza equinoziale; diremo solo che la preponderanza così attribuita ai solstizi e agli equinozi trova pure la sua ragione nella considerazione di diversi periodi ciclici, a cui queste forme tradizionali debbono essere più particolarmente collegate].

 

I solstizi si possono veramente chiamare i poli dell’anno; e questi poli del mondo temporale, se è lecito esprimersi così, si sostituiscono qui, in virtù di una corrispondenza reale e per nulla arbitraria, ai poli del mondo spaziale; essi sono d’altronde naturalmente in diretta relazione con il cammino del sole, i cui poli nel senso proprio e consueto della parola sono invece interamente indipendenti; e così si trovano legate l’una all’altra, nel modo più chiaro possibile, le due modalità simboliche di cui abbiamo parlato.

 

Stando così le cose, la caverna ‘cosmica’ potrà avere due porte ‘zodiacali’, opposte lungo l’asse che abbiamo considerato, quindi rispettivamente corrispondenti ai due punti solstiziali, una delle quali servirà d’entrata e l’altra d’uscita; effettivamente, la nozione di queste due ‘porte solstiziali’ si trova in modo esplicito nella maggior parte delle tradizioni, e ad essa è anche generalmente attribuita una considerevole importanza simbolica. La porta d’entrata è talora designata come ‘porta degli uomini’, che possono in questo caso essere tanto degli iniziati ai ‘piccoli misteri’ quanto semplici profani, poiché non hanno ancora superato lo stato umano; e la porta d’uscita è allora designata, per opposizione, quale ‘porta degli Dèi’, la porta cioè per cui passano soltanto gli esseri che hanno accesso agli stati sopra-individuali. Resta solo da determinare a quale dei due solstizi corrisponda ciascuna delle porte; ma anche questa questione, per essere adeguatamente sviluppata, merita di essere trattata a parte.




 

Abbiamo detto che le due porte zodiacali, le quali sono rispettivamente l’entrata e l’uscita della ‘caverna cosmica’, e che certe tradizioni denominano ‘porta degli uomini’ e ‘porta degli Dèi’, devono corrispondere ai due solstizi; dobbiamo ora precisare che la prima corrisponde al solstizio d’estate, cioè al segno del Cancro, e la seconda al solstizio d’inverno, cioè al segno del Capricorno.

 

Per comprenderne la ragione, occorre riferirsi alla divisione del ciclo annuale in due metà, una ‘ascendente’ e l’altra ‘discendente’: la prima è il periodo del cammino del sole verso nord (uttarayana), che va dal solstizio d’inverno al solstizio d’estate; la seconda è quello del cammino del sole verso sud (dakshinayana), che va dal solstizio d’estate al solstizio d’inverno [È opportuno notare che lo Zodiaco frequentemente raffigurato sul portale delle chiese medioevali è disposto in modo da segnare nettamente questa divisione del ciclo annuale].

 

Nella tradizione indù, la fase ‘ascendente’ è messa in rapporto con il deva-yana, e la fase ‘discendente’ con il Pitri-yana [Si veda in particolare Bhagavad-Gitd, viii, 23-26; cfr. “L'Homme et son devenir selon le Vedanta”, cap. xxi. Una analoga corrispondenza si ritrova nel ciclo mensile, essendo il periodo della luna crescente ugualmente in rapporto con il deva-yana, e quello della luna calante con il pitri-yana; si può dire che le quattro fasi lunari corrispondono, in un ciclo più limitato, alle quattro fasi solari che sono le quattro stagioni dell'anno] il che coincide esattamente con le designazioni delle due porte appena ricordate: la ‘porta degli uomini’ è quella che dà accesso al pitri-yana, e la ‘porta degli Dèi’ è quella che dà accesso al deva-yana; esse devono quindi situarsi rispettivamente all’inizio delle due fasi corrispondenti, vale a dire che la prima dev’essere al solstizio d’estate e la seconda al solstizio d’inverno.

 

Solo che in questo caso si tratta propriamente non di un’entrata e di un’uscita, ma di due diverse uscite: ciò dipende dal fatto che il punto di vista è diverso da quello che si riferisce in modo speciale al ruolo iniziatico della caverna, pur conciliandosi perfettamente con questo.




L'UOVO DEL MONDO
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